giovedì 19 dicembre 2013

Sistema sanitario e diritti dei cittadini

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. (art.32 della Costituzione)


La cura del soggetto malato è patrimonio dell’uomo e, salvo eccezioni di cui troviamo riscontro nei libri di storia, regolarmente praticata in ogni tempo in tutte le comunità. I titolari della cura sono sempre stati i membri del nucleo familiare o della famiglia allargata che si avvalevano di quanto disponibile in rapporto al contesto sociale d’appartenenza e alle risorse di cui potevano disporre.
Man mano che la società si è andata strutturando è cresciuta in ogni cittadino la consapevolezza di essere titolare del diritto a ricevere cure adeguate in caso di malattia. Siamo passati quindi dal tempo in cui la cura del malato era solo un fatto di pietà, a quello in cui il malato ha diritto di essere curato in modo da recuperare il proprio benessere psicofisico. Dal tempo in cui i luoghi di cura erano considerati posti dove il “fratello povero” andava a morire, a quello in cui “il cittadino” trova una struttura organizzata per erogare le cure necessarie, ritenute efficaci e affidabili in base ad evidenze scientifiche. Per quanto riguarda l’organizzazione siamo passati da strutture di “misericordia” laiche o religiose a strutture con compiti codificati dalla legge e quindi riconducibili alla sfera della Pubblica Amministrazione. Ogni Stato moderno si è dotato di un Sistema Sanitario per tutelare quel diritto alla salute che così chiaramente è descritto all’articolo trentadue della nostra Costituzione Repubblicana.
Si può ben dire che il grado di efficienza ed efficacia di un Servizio Sanitario sia un buon indice del grado di civiltà raggiunto dal Paese cui appartiene. Tuttavia, oggi, nel terzo millennio, la conquista di civiltà, sancita negli ordinamenti dei vari Stati e promossa dall’Organizzazione mondiale della Sanità, ancora non è una realtà uniforme e in molti casi è insoddisfacente.
Per quanto riguarda il sistema sanitario italiano, scorrendo i giornali, o ascoltando conferenze si evidenziano tante verità. Si potrebbe allora pensare che ci siano osservatori strabici o troppo disinvolti, tanto da stravolgere i fatti. In realtà siamo di fronte a un sistema complesso che deve esplicare la sua funzione in un tessuto socioeconomico che si è evoluto in modo asimmetrico. In base ai dati riportati da più fonti sappiamo che il nostro servizio sanitario, pur essendo distribuito su tutto il territorio nazionale, presenta un andamento diverso da regione a regione, soprattutto in termini d’efficienza di utilizzo delle risorse. Sappiamo inoltre che il governo centrale e quello regionale hanno grosse difficoltà ad assicurare le risorse necessarie per il funzionamento del sistema così com’è gestito, sebbene il rapporto tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo sia inferiore rispetto a quello di altri Paesi a noi vicini. Nonostante ciò, la qualità del nostro sistema sanitario si pone nella parte alta della classifica dei sistemi sanitari europei, sebbene non manchino circostanze in cui le prime pagine dei giornali debbano dare spazio a eventi dolorosi.
Da questi pochi elementi, che riflettono affermazioni di molti osservatori, si ha la percezione che siamo di fronte ad un sistema così complesso che non è consentito giudicarlo senza un’analisi approfondita. E non potrebbe essere altrimenti in un sistema in cui la gran parte del risultato è affidata alle “buone pratiche”

attuate da singoli o da ristretti gruppi di operatori che, pur inseriti in una struttura più ampia, hanno un comportamento autoreferenziale. Un buon metodo di giudizio dell’efficacia del trattamento sarebbe di valutarne il risultato non solo da un punto di vista soggettivo del medico o del paziente, bensì sulla scorta d’evidenze scientifiche. Per fare ciò occorre una crescita culturale della comunità e la volontà dei titolari del trattamento di porre in discussione il proprio comportamento. Va inoltre considerato che un trattamento efficace non ha bisogno solo di “buone pratiche” medicochirurgiche, ma anche di una grande capacità d’ascolto dell’intera struttura di cura. Le buone pratiche, infine, non possono essere tali se i professionisti del sistema non si aggiornano costantemente e non applicano quel codice etico che impone la ricerca della cura più appropriata con l’impiego di risorse adeguate e sostenibili. A questo punto ci si rende conto che tutti gli attori del sistema sanitario nazionale hanno un preciso vincolo che impone loro di mettere in atto comportamenti coerenti con la propria missione, perché titolari di un’attività rivolta alla tutela di un diritto fondamentale dei cittadini. È evidente quindi che ogni azione che accentui comportamenti egoistici, sbilanciati verso l’interesse particolare è censurabile e da rifiutare ancorché aderente a qualche maglia sfilacciata di questa o quella norma. A proposito di norme bisogna diffidare di quelle che risentono d’impostazioni troppo liberiste o di spinte corporative. In funzione del dettato costituzionale non sono ammissibili norme che favoriscano processi discriminanti e non è possibile sottomettere il Sistema Sanitario, che deve tutelare la salute della collettività, a logiche prettamente politicoeconomiche perchè lo minerebbero alle fondamenta. 



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